Utili miliardari, ed in ulteriore crescita, cost-income migliore in Europa, cessione degli asset più redditizi. In cambio un Piano Industriale che sembra prevedere 10.000 posti di lavoro in meno.
Tutto questo non è accettabile, come già dichiarato dai Segretari Generali delle nostre Organizzazioni.
L’ennesimo piano industriale che si consuma solo sulla pelle dei lavoratori, risulta essere altresì insopportabile in una fase assai critica e delicata del rinnovo del Contratto Nazionale.
Una ulteriore preoccupazione deriva dal fatto che siamo entrati nel secondo semestre dell’anno e ci avviamo verso la conclusione di Transform 2019 che, ricordiamo, si era sovrapposto al precedente Piano a scadenza dicembre 2018 e fu presentato come momento di forte discontinuità rispetto al passato.
Quello che è certo è che sono usciti, per esodo e pensionamento, migliaia di lavoratori: a fine 2019 saranno circa 12.000, complessivamente un taglio del 20% di personale.
Una bella cura dimagrante, non c’è che dire.
Il risultato della riduzione dei costi, che poggiava essenzialmente sulla diminuzione del personale, è indubbiamente stato centrato; ma che dire degli altri obiettivi di efficientamento che l’azienda si era data?
E’ noto come il piano prevedesse forti investimenti IT (2,3 miliardi), l’ottimizzazione di procedure e processi per il recupero di risorse e tempo, la semplificazione e la digitalizzazione, la rivisitazione dell’organizzazione del lavoro in una logica di complessivo miglioramento. Questi interventi avrebbero dovuto compensare, in termini di efficienza, la prevista fuoriuscita di personale.
Ricordiamo che il “tormentone” dei nostri manager, a partire dall’amministratore delegato, era: fare di più e meglio con meno persone attraverso maggiore efficienza.
Secondo le dichiarazioni rilasciate, tutto sarebbe stato previsto, programmato, sotto controllo. Nulla di tutto questo si è realizzato.
In tutta sincerità non possiamo dire di averci creduto più di tanto, perché dopo molti piani e diverse riorganizzazioni, spesso gestiti con improvvisazione e caratterizzati da scelte emergenziali piuttosto che prospettiche, siamo diventati scettici.
Oggi, però, la situazione di grande difficoltà è sotto gli occhi di tutti:
– I colleghi nelle agenzie operano in condizioni “estreme”, data la fortissima contrazione del numero degli addetti;
– I rischi operativi aumentano pericolosamente (mentre la consapevolezza dei rischi diminuisce) perché manca una seria programmazione della formazione e non si fa affiancamento tra chi esce dall’azienda e chi subentra nel ruolo, in modo da garantire il passaggio di competenze;
– La digitalizzazione dei processi, così come la semplificazione, è in gran parte incompiuta;
– Unicredit Services ha subito numerose riorganizzazioni e ad oggi non è chiaro il futuro della parte IT che viene sempre definita strategica ma che è sempre in bilico tra esternalizzazioni e appalti.
– Gli investimenti tecnologici non sono stati realizzati nei termini preannunciati, con conseguenti continui rallentamenti e malfunzionamenti.
Nel nostro gruppo questa frenesia di continue riorganizzazioni, ha creato, invece, una situazione di completa disorganizzazione;
insomma, la qualità della vita lavorativa in UniCredit è semplicemente peggiorata.
Ci viene richiesto di fare di più, con meno persone e soprattutto con meno efficienza!
La distanza tra i progetti aziendali e la vita reale dei lavoratori si è purtroppo drammaticamente ampliata.
Diciamo NO a Piani Industriali e riorganizzazioni fatti sulla pelle dei lavoratori!
Milano, 25 luglio 2019
Segreterie di Coordinamento
Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – UniSin
Gruppo UniCredit
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