Attenti all'UPA!
a cura della S.A.S. Fisac Cgil UPA - n° 7 Gennaio 2002

Road show, Lavoratori, Sindacato.
10 riflessioni.

La conclusione del primo road show di UPA ci offre la possibilità di riflettere ancora su alcuni importanti temi in discussione.

1) La specializzazione introduce elementi di rigidità?
Non c’è dubbio. Riconversioni professionali facilmente attuabili (nei momenti di crisi) nei poli multi-funzionali, saranno più difficili nei poli fortemente specializzati. E’ inoltre del tutto probabile che la specializzazione non venga ripartita in misura equilibrata tra tutti i lavoratori: potrebbero esserci poche figure ad altissima professionalità da un lato, moltissimi colleghi con professionalità medio-bassa dall’altro, più qualche sicura perdita di know how. E’ precisamente questo ciò che il Sindacato vuole evitare.

2) Quanti saranno i Poli?
Difficile dirlo, per il momento. La costituzione di Trento, destinata ad accogliere il back-office delle Tesorerie degli Enti locali, è subordinata all’autorizzazione del competente Ministero (fatto, questo, che non poteva essere ignorato). Trieste, presumibilmente sede di funzioni di controllo e di audit, sembra invece dipendere dalla soluzione di problematiche accennate in termini troppo sfumati perché sia possibile farsene un’idea più chiara.

3) Nessun problema occupazionale?
Per quanto attiene al passato la risposta è evidentemente “no”. Ma con due precisazioni. Primo: l’obbiettivo è stato raggiunto in virtù di un accordo sindacale sulla costituzione dei Poli (non per autonoma scelta aziendale, come talora si è lasciata credere). Secondo: l’intricato gioco degli “efficientamenti” realizzati in UPA (con prezzi non indifferenti sul piano dei ritmi e dei carichi di lavoro) e di quelli resi possibili sulla Rete, si conclude comunque con un saldo negativo. Questo è motivo di legittimo orgoglio per un management il cui obiettivo è “creare valore” per il Gruppo. Ma non può stupire che sia motivo di altrettanto legittima preoccupazione per il Sindacato: non stiamo versando lacrime perché vengono bruciate figure professionali obsolete, lavorazioni arcaiche, duplicazioni inutili, ridondanze stupide (ma è davvero sempre così?). Siamo solo preoccupati che vengano cancellate possibilità di lavoro con un’enfasi ed un entusiasmo eccessivi.

4) Qual’ è l’autonomia di UPA dalla Holding?
Scarsissima, come è naturale che sia in una politica di gruppo nella quale le decisioni fanno capo alla capo-gruppo. Questo è un punto molto più serio di quanto non si voglia credere: un’Azienda in grado di cogliere tutte le opportunità che le si presentano è radicalmente diversa da un’Azienda nella quale i percorsi sono in buona misura predeterminati altrove, con i vantaggi e gli svantaggi che questo fatto comporta.

5) UPA sta sul mercato?
Sì, ma Il vero nostro grande cliente è ancora Unicredit. Popolare di Cremona e Cassa di Rimini sono realtà preziose ma troppo piccole per connotare la nostra Azienda in modo diverso. Banco Posta è a sua volta frutto di una partnership finanziaria che fa capo alla Holding che ci retrocede parte dei ricavi conseguiti. In altre parole: il nostro bilancio è dato da prestazioni “al costo”, da retrocessioni di commissioni e solo in misura modesta da una politica di conquiste di quote di mercato.
6) Sono definiti i “perimetri” di UPA, cioè la divisione delle competenze? Sicuramente no. “Chi farà che cosa e dove?” resta la grande domanda senza risposta. Da questo punto di vista non desta stupore la mancanza di un piano dettagliato, ma la genericità con cui vengono presentate le stesse linee guida e le modalità con le quali la specializzazione di UPA si deve coordinare con la divisionalizzazione di S3.

7) Ci sono colleghi “lavativi”?
Diciamolo chiaramente: è stato il passaggio più squallido dell’incontro milanese. L’Azienda non si è fatta particolari scrupoli né nel licenziare tutti i colleghi che avessero superato il periodo di comporto di malattia né nel lasciare a casa un giovane collega a tempo determinato che, a sentire l’Azienda stessa, non rispondeva ai canoni richiesti. Ogni giorno i lavoratori misurano sulla loro pelle la distanza che separa il modello di Azienda, illustrato nei road show, da un realtà quotidiana assai più modesta, fatta di delusione accumulate, di frustrazione subite, di palesi ingiustizie vissute nelle carriere e talora, da problemi personali importanti e da possibili contrazioni di carichi di lavoro che sicuramente non dipendono dai colleghi. Che si assumano pochi ed isolati casi per descrivere la situazione sociale di UPA è un fatto grave che umilia chi usa queste categorie di pensiero ancora prima di chi le subisce.

8) I Road show sono “spettacolarizzazioni” della vita collettiva?

Si tratta di una realtà, importata principalmente dal mondo anglosassone, il cui scopo, ancor prima che illustrare progetti, è quello di creare coinvolgimento emotivo e spirito di gruppo attorno a figure di leader che indicano mete ed obbiettivi, sollecitano aspettative e speranze, suscitano adesione ed entusiasmo. Il problema consiste nel fatto che si trasmette, in questo modo, l’ottimismo come atteggiamento dello spirito umano, mentre si avrebbe tanto bisogno di un ottimismo basato sulla sana concretezza dei fatti. La scelta del road show è ormai consolidata all’interno del Gruppo e non ci spaventa; ma é qui piuttosto chiaro che si è voluto preventivamente attivare, sul piano emozionale, i lavoratori in vista di un futuro del quale non si è detto praticamente nulla.

9) Che significato ha l’erogazione di 2.500 MM di salario discrezionale?
Come è possibile affermare ripetutamente che “tutti” collaborano alla crescita di UPA e premiarne poi solo una minoranza? Quali sono i criteri? Qui il problema è quello di un nuovo, ipotizzato “percorso delle opportunità”. Ma esiste una “democrazia delle opportunità”? Siamo davvero sicuri che le opportunità vengano fornite a tutti e nello stesso modo? Il progetto aziendale sembra piuttosto quello di riempire discrezionalmente, sul piano dei contenuti economici, gli spazi lasciati aperti dal Contratto Collettivo, ormai in fase di rinnovo. Ma si sappia chiaramente che è un terreno che non accettiamo: bisogna sforzarsi di individuare criteri il più possibile certi e verificabili, conseguendo risultati per tutti. Non vorremmo trovarci di fronte a scelte come quelle seguite in queste giorni da ABI, indisponibile a riconoscere per via contrattuale perfino gli aspetti economici più ovvi (recupero del differenziale di inflazione).

10) Si è voluto fare un’operazione di “cultura aziendale”?
La cosa sembra evidente. “Osa e sarai premiato” è la parola d’ordine. E’ la cultura dell’ “uno su mille ce la fa” (come sapeva già anche Gianni Morandi). Ebbene, non solo si tratta di capire gli oscuri criteri attraverso i quali il miracolato verrà alla fine scelto. Si tratta soprattutto di denunciare il fatto che, per questa strada, l’Azienda cerca di far passare un dis/valore particolarmente inviso ai lavoratori, sempre contrastatissimo dal Sindacato ed, alla fine, pericoloso perfino chi lo suscita: quello della divisione trasversale tra tutti. Si dividono i giovani dagli anziani; i Quadri dalle aree professionali e, magari, i Quadri al loro stesso interno, tra chi è più disposto e chi è meno disposto ad ingoiare bocconi amari nel campo dell’autogestione degli orari. Si dividono, infine, perfino i giovani al loro interno. A questo proposito, sarà bene ricordare che, al di là delle parole di circostanza, la scelta prevalente dell’Azienda per i giovani é oggi (e sarà presumibilmente sempre più nel futuro) quella della precarietà e della scarsa tutela (lavoro interinale, tempo determinato e tutti gli altri strumenti che il cappellaio magico saprà tirare fuori dal suo cilindro e che l’Azienda ha dimostrato di saper cogliere a tempo di record).


Speriamo di aver così sinteticamente richiamato almeno i punti di maggior rilievo, quelli più meritevoli di attenzione.
Crediamo che la crescita di UPA sia interesse non solo del management ma degli stessi lavoratori che, con impegno, dedizione e serietà straordinarie, vi hanno contribuito, spesso supplendo con intelligente autonomia a disfunzioni procedurali ed organizzative.
L’idea di fare apparire il Sindacato quale il grande nemico del cambiamento è miserabile.
Chi possiede memoria storica certamente sa che, in numerose circostanze, sono state proprio le richieste di tutele e garanzie avanzate dal Sindacato a spingere le Aziende sulla strada di quella innovazione che, per conto loro, non avrebbero probabilmente mai intrapreso.
E proprio questo è il punto : c’è assoluto bisogno di negoziare, a partire da subito e dentro ad uno scenario di cambiamento, un quadro di garanzie e di tutele. Su questo aspetto non abbasseremo mai la guardia.
Non possiamo accettare che passi nei fatti, magari negandone a parole la volontà, l’emarginazione del Sindacato. Senza le battaglie del Sindacato ed il convinto sostegno dei lavoratori oggi non ci sarebbe probabilmente in UPA nemmeno il contratto del credito, fenomeni di mobilità territoriale sarebbero ben presenti e non avrebbero visto la luce istituti di garanzia quali il Fondo di Solidarietà.
Il Sindacato conosce limiti, pregi e pericoli insiti nella sfida al mercato che il management ha deciso di accettare. Con altrettanto coraggio affronti il confronto con il Sindacato. Dimostri nei fatti che “la centralità della risorsa umana” non risiede nella discrezionalità con la quale intende determinare percorsi di carriera e riconoscimenti economici, ma nella volontà con la quale si misura sul terreno della negoziazione.

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